Un oboe barocco e l’organo di Deliceto
“Sono romano di nascita, ma ho vissuto a Prato, diplomandomi a Firenze. Poi sono andato in Germania, dove vivo attualmente, come professore d’orchestra, continuando sempre a perfezionarmi e a studiare, e da diversi anni ho fondato un gruppo, Epoca barocca (www.epocabarocca.de) col quale proponiamo un ampio repertorio di quel periodo”. E’ Alessandro Piqué, col suo bambino di cinque anni che gli trotterella timido tutt’attorno mentre lo intervisto. La Chiarion, invece, è veneta, è l’organista del duomo di Rovigo, ma è anche pianista, e studia inoltre direzione d’orchestra: ha suonato in mezza Europa anche lei. “A Foggia ci sto benissimo, ho trovato grande disponibilità umana. Anche qui a Deliceto è da qualche giorno che stiamo preparando il concerto su questo splendido organo restaurato e mi hanno accolta da subito facendomi sentire come fossi a casa mia”.
E già, signori, l’organo restaurato della Chiesa di Sant’Antonio a Deliceto: un Domenico Rossi del 1775, riportato in vita con l’amore e la collaborazione di Comune e cittadini delicetani (e anche col prezioso zampino della Fondazione Banca del Monte di Foggia).
L’organo, dunque, appena restaurato nel 2011 fu inaugurato dal maestro Francesco Di Lernia, organista, come si suol dire, “di chiara fama” nonché direttore del Conservatorio stesso, (Di Lernia per gli organi storici della Puglia ha una passione speciale, andate a cercare su internet…).
Chiedo ulteriori lumi al maestro Paola Chiarion che mi risponde con la sua irresistibile cortesia: “è uno strumento con cosiddetta ottava corta, il che significa che la prima ottava della tastiera restituisce note diverse dal solito. All’epoca si usava così”.
Valli a capire, nel Settecento…
“Un organo tipico italiano, le cui caratteristiche sono soprattutto legate ad un suono puro, costruito con un tipo di legno stagionato, o di abete o di faggio, e il restauro è stato molto ben curato, hanno ripristinato anche i tasti in legno, proprio i tasti originali. Ottime anche le caratteristiche dell’ambiente circostante: temperatura, umidità, collocazione, acustica, insomma tutto contribuisce a restituire un suono molto bello e molto originale. Possiamo quasi rapportare questo strumento ad un violino antico, un Guarneri o uno Stradivari”.
Caspiterina! E beh d’altronde è più che comprensibile, dato che Domenico Rossi era, all’epoca, NEAPOLITANUS SUAE MAIESTATIS ORGANARIUS come in parte recita la grossa iscrizione proprio sotto la tastiera.
“Gianni volevi vedere l’oboe barocco? Vieni, eccolo. Vuoi provarlo?”. E’ il maestro Piqué che mi chiama. Lui lo sa che io stesso studio oboe col suo collega Fabrizio Fava a Foggia e mi mostra il suo bellissimo strumento, rendendomi privilegiato. E così ci abbandoniamo a disquisizioni sul suono dell’oboe barocco, che differisce da quello moderno per timbrica e dolcezza, e poi sulle chiavi, la diteggiatura, sulle ance… ah, a proposito di ance: l’oboista che si rispetti è uno che impara a costruirsi le ance da sé. Con canne rigorosamente provenienti dalla Var, regione della Francia meridionale avente suolo, umidità, caratteristiche geologiche particolarmente indicate per… vi sto annoiando? Certo, lo so.
Ma mi ci sono auto-torturato così tanto io stesso, quest’anno, a costruire ance che puntualmente NON funzionavano, che un po’ di tribolazioni pure a voi non guasta. Oh, così imparate!
“Silenzio, si comincia!”…
La chiesetta deliziosa viene riempita in ogni posto da tante persone, compostamente in attesa di questo grande evento per il loro paesino (e per la grande musica, ovvio). In prima fila proprio Di Lernia, e altri del Conservatorio (Michele Gioiosa, pianista eccellente, stavolta è armato di fotocamera reflex), assieme ovviamente al sindaco di Deliceto, Antonio Montanino, e al prof. Ieffa.
Il concerto… Il concerto comincia…
Non un concerto “di nicchia”, ma “di nicchia della nicchia”.
La musica di oltre trecento anni fa inonda spazi e cuori, quell’oboe barocco diventa velluto per le nostre orecchie, e l’organo di Rossi suona e incanta in maniera celestiale. Accanto a Bach che trascrive Vivaldi (il grande tedesco adorava il nostro Prete Rosso) ascoltiamo anche Heinichen, Schaffrath ed Hasse, e gli italiani Pasquini, Storace, Zipoli e anche quel Nicolò Moretti, veneto, che Paola Chiarion ha voluto donarci. C’è tempo anche per un bis, da dedicare a Francesco De Matteo, compositore delicetano di fine Ottocento, scomparso giovanissimo.
Ma è nella chiacchierata a fine concerto col prof. Ieffa, che trovo appunto quell’elemento camilleriano, guareschiano di cui vi parlavo prima, e ne resto rapito. Raffaele Ieffa, ex dirigente scolastico in pensione, è uno di quegli uomini vulcanici di cui si giova l’Italia dei piccoli paesi cui accennavo. E’ un uomo colto, che ama la sua terra con grande passione, e me ne accorgo subito:
“Il progetto di restauro è durato due anni, ma il sogno di recuperare quest’organo è cominciato almeno cinquant’anni fa. Eravamo ragazzi e durante un pomeriggio assolato, vagabondando come al solito per il paese, finimmo su nella cantoria non so nemmeno più come. Vidi questo strumento incantevole e me ne innamorai subito. Non ero esperto di organi, ma fui subito colpito dalla bellezza e dal pregio artistico che mi pareva evidente. Da allora, per cinquant’anni, non ho mai smesso di credere al suo recupero.”
Eccola l’Italia grintosa, quell’Italia del boom economico (doveva essere la fine degli anni Cinquanta) che sa sognare e sa rincorrere i suoi sogni senza mai demordere, quello spirito forte di cui tanto avremmo bisogno anche ora, in un momento così delicato per la nostra Nazione.
E così, guidando nello scuro della strade del Subappennino, torno a casa con addosso ancora quell’odore di chiesa, un misto magico di incenso, legno stagionato e leggera umidità. E nelle orecchie ho ancora lo scorrere delle dita di Piqué sul suo oboe barocco, o il cambio di registri e colori così antichi e suggestivi della Chiarion sull’organo di Rossi.
Torno a casa e penso che no, il concerto di questa sera non serviva solo ad impreziosire maggiormente il cartellone di Corti di Capitanata, non solo a farci godere della grande bravura di due eccellenti maestri del nostro Conservatorio, non solo a farci ascoltare il suono stupendo di un oboe barocco e di un organo del Settecento.
Serviva a realizzare il sogno di un ragazzo di paese dell’Italia degli anni Cinquanta.